sabato 24 dicembre 2011

Gli auguri di Natale di Publio Plinio


Lettera di Publio Plinio a Domizio Rufo (280 dc)

“Carissimo, ti auguro con questa epistola di trascorrere un buon Natale del Sole. Non so da voi, ma qui a Mediolanum ormai lo festeggiano tutti: persino i cristiani! Sì, anche quella setta di santoni pseudoebrei, gli adoratori dei crocefissi, dopo qualche resistenza ormai si sono decisi a festeggiare come tutti gli altri.

Non c’è che da apprezzare la saggezza del nostro grande imperatore Aureliano, che volle rendere ufficiale la festa, l’ottavo giorno prima delle Calende di Gennaio. Noi cittadini dell’impero siamo diversi per lingua, razza e religione, ma tutti siamo scaldati dallo stesso Sole, che dopo il freddissimo Solstizio d’Inverno ora ricomincia timidamente a riallungare le giornate. Né Aureliano volle inventarsi una Festa di sana pianta, ma lungamente studiò il problema coi suoi collaboratori, scoprendo che la festa della Rinascita del Sole è la più universale; anche se alcuni lo chiamano Mitra, altri Elagabal, altri Helios: in fin dei conti è sempre lo stesso per tutti, e tutti ugualmente ci riscalda.

Solo i cristiani, nella loro superstizione, sono convinti di non adorarlo. Ho appreso da un mio servo, che partecipa alle loro riunioni, che pure loro mangiano gli stessi dolci impastati con frutta candita e miele: ma non per festeggiare il Sole a cui devono la frutta e i fiori, bensì la nascita del loro Dio, o profeta (essi non hanno chiara la distinzione tra i termini), Gesù Cristo.

Confesso di essere affascinato dall’ignoranza che nutrono per la loro stessa religione. Avendo dato un’occhiata, per curiosità, ai loro libri sacri, so bene che in nessun giorno del calendario è fissata la data di nascita del loro eroe. Stavo quasi per dirlo al mio servo, ma a che pro? Non sa leggere. Ma lasciamolo pure mangiare il suo pane dolce e i suoi canditi, anche se ignora l’autentico significato di ciò che fa”.

venerdì 2 dicembre 2011

Il sadismo dell'Inquisizione



(Cap. 10, "La santa Inquisizione", L'influenza dell'Inquisizione, pagg 97-102)

Molti inquisitori erano dei sacidi, molti dei mostri libidinosi. Prendevano le donne che desideravano inventando accuse di eresia e tenendole come amanti per il resto dei loro giorni. Quando le truppe francesi preseo la città di Aragona, il tenente generale M. de Legal
ordinò che si aprissero le porte dell'Inquisizione e si liberassero i prigionieri, che erano circa quattrocento. «Tra questi vi erano sessanta bellissime giovani, che costituivano l'harem dei tre massimi Inquisitori.» Una di esse aveva una storia fuori dal comune da raccontare. La narrò all'ufficiale francese chein seguito divenne suo marito e a M. Gavin, autore di A Master Key to Popery. Riporto qui il racconto nelle parole della donna.

Un giorno andai con mia madre a trovare la contessa Attaras, e lì incontrai don Francisco Tirregon, suo confessore e secondo Inquisitore del Santo Uffizio. Dopo aver bevuto della cioccolata, mi chiese l'età, il nome del mio confessore e mi fede molte domande complicate sulla religione. La rigidità del suo contegno mi spanventò ed egli lo percepì; così disse alla contessa di informarmi che non era così austero come sembrava. Poi mi accarezzò in modo estremamente gentile, allungò la mano, che io baciai con grande revedenza e modestia; e nell'andarsene adoperò questa insolita espressione «Mia cara, mi ricorderò di te finoalla prossima volta.» In quel momento non feci caso al senso delle parole; perché non avevo esperienza in matiera di galanteria, avendo, all'epoca, solo quindidi anni. Sfortunatamente egli si ricordò davvero di me; e quella stessa notte, mentre la famiglia era a letto, si udì un gran bussare alla porta. La cameriera, che dormiva in camera con me, andò alla finestra e chiese chi fosse. La risposta fu, la Santa Inquisizione. Udito ciò, gridai: «Padre! Padre! Padre caro, sono rovinata per sempre!» Mio padre si alzò e venne da me per sapere il motivo delle mie grida; gli dissi che l'Inquisizione era alla porta. Udito ciò, invece di proteggermi, mi portò di corsa di sotto e, per paura che la cameriera fosse troppo lenta, aprì lui la porta d'ingresso. In che stato di abietta e servile paura sono gettate le menti! Non appena seppe che erano venuti per me, mi portò con grande solennità e mi consegnò agli ufficiali con molta sottomissione.
 
Fui spinta frettolosamente in una carrozza, con niente altro indosso che una sottoveste e un mantello; perché non mi lascariono prendere altro. Ero così terrorizzata che pensai che sarei morta quella notte stessa; Ma immaginate la mia sorpresa quando mi fecero entrare in un appartamento decorato con tutta l'eleganza consentita dal gusto e dall'opulenza. Subito dopo chegli ufficiali se ne furono andati, apparve una cameriera con un vassoio d'argento su cui c'erano dolci e acqua alla cannella. Voleva che mi ristorassi un po' prima di andare a letto; le dissi chenon potevo, ma che le sarei stata grata se mi avesse potuto dire se sarei stata messa a morte quella notte oppure no. «Essere messa a morte!»  esclamò ella «non è venuta qui per essere messa a morte, ma per vivere come una principessa e non le mancherà niente al mondo, se non la libertà di uscire; quindi la prego, non abbia paura, ma vada a letto e dorma bene; perché domani vedrà le meraviglie di questa casa; e poiché io sono stata scelta come sua cameriera, spero vorrà essere gentile con me.»


Segue una lunga descrizione della maniera in cui, per mezzo della serva Maria, don Francisco inviò alla sua ultima vittima abiti eleganti, regali di valore e messaggi personali, gentili e affettuosi, e un invito a cenare con lui che su consiglio della cameriera la giovane accettò. Don Francisco aveva raccontato a Maria che, in seguito ad alcune accuse avanzate contro la ragazza per motivi religiosi, l'Inquisizione aveva pronunciato la sentenza di bruciarla viva «in unapentla vuota, a fuoco lento», ma che lui, per il rispetto che nutriva per lei, era riuscito ad arrestare l'esecuzione della terribile sentenza, almeno per il momento. L'uomo aveva tuttavia detto chiaramente, e Maria fu ancora più esplicita, che c'era un unico modo per sfuggire alla morte e che solo un vero sciocco non ne avrebbe approfittato. Forse su istruzione di don Francisco, Maria si spinse oltre e, dopo essersi assicurata dell'assoluta riservatezza della giovane già terrorizzata, si offrì di mostrale gli strumenti di tortura. E così, la mattina seguente, quando ancora tutti dormivano,

mi portò di sotto, in una grande stanza chiusa da una pesante porta di ferro, che ella aprì. Dentro c'era un forno che, in quel momento, aveva il fuoco acceso, e sopra una grande padella di ottone con un coperchio dello stesso materiale e con un lucchetto. Nella stanza accanto c'era una grande ruota, coperta su entrambi i lati da spesse tavole; aveva una finestrina al centro e Maria mi disse di guardarci dentro conuna candela; e lì vidi che su tutta la circonferenza della ruota erano fissati dei rasoi affilati, he fecero rabbrividire. Poi Maria mi condusse a vedere una fossa piena di serpenti velenosi. A quella vista espressi un grande orrore ed ella disse «Ebbene, mia buona padrona. Le dirò a cosa servono queste cose. La pentola vuota è per gli eretici e per coloro che si oppongono alla volontà e alla grazia del Santo Padre; vengono messi vivi nella pentola, dopo essere stai denudati; e, chiuso il lucchetti del coperchio, il carnefice comincia ad accendere nel forno un fuoco basso, che poi aumenta per gradi, fino a cheil corpo della vittima viene ridotto in cenere. La ruota è destinata a coloro che parlano contro il Papa o contro i santi padri dell'Inquisizione; vengono fatti entrare nella macchina per mezzo di una porticina che poi viene chiusa a chiave alle loro spalle e poi la ruota vien fatta girare velocemente in modo da tagliarli tutti a pezzi. La fossa è per chi disprezza le immagini e rifiuta di portare il rispetto dovuto agli ecclesiastici; vengono gettati dentro la fossa e divorati dai serpenti velenosi.»
Ritornammo in camera mia e Maria mi disse che la volta successiva mi avrebbe mostrato le torture destinate ad altri trasgressori; ma ciò che avevo visto mi aveva provocato una tale angoscia che la pregai di non terrorizzarmi ulteriormente con simili visioni. Subito dopo mi lasciò, inguingendomi un'assoluta obbedienza a don Francisco; «perché se non si adegua alla sua volontà» mi disse «le toccheranno la padella e il fuoco lento.» L'orrore provocatomi nella mente dalla vista di queste cose e dalle parole di Maria mi privarono quasi dei sensi e mi lasciaronoin tale stato di stordimento che mi sembrava di esser stata defraudata della mia volontà.
La mattina seguente Maria mi disse: «Ora lasci che la vesta con l'abito più bello perché deve andare ad augurare il buongiorno a don Francisco e deve fare colazione con lui». Quando fui vestita, mi condusse attraverso una falleria al suo appartamento, dove lo trovai a letto. Don Francisco ordinò a Maria di ritirarsi e di servirci la colazione dopo circa dueore. Quando Maria se ne fu andata, mi ordinò di spogliarmie di entrare nel suo letto. Fui così spaventata dal modo in cui mi parlò e dalle terribili idee chesi affollarono nella mia mente, che mi tolsi gil abiti senza sapere quello che facevo e entrai nel suo letto, insensibile al fatto che stavo sbrigando un affare indecente: tutti i miei pensieri erano stati completamente assorbiti dallapreoccupazionedi salvarmi e fino a quel momento la forza delterrore aveva cancellato le idee ispirate dalla prudenza.
Dopo essere stata sedotta, la ragazza fu presentata alla altre giovani donne del serraglio , cinquantadue in tutto, la più vecchia delle quali aveva circa ventiquattro anni. Per tre giorni, vestita in maniera sfarzosa, visse come una regina negli appartamenti più lussuosi, mangiando e bevendo i prodotti più sopraffini della terra. Poi, dopo unaserata di allegria, la ragazza fu condotta inunastanzina simile ad una prigione, dove si trovava un'altra ragazza. Maria, chele fece da guida anche questa volta, le disse «Questa è la sua stanza e questa signorina è la sua compagna» e se ne andò subito. Dopodiché... ma lasciamo che sia la narratrice a riprendere il racconto:

Non so esprimere la mia perplessità e il mio malumore; ma la mia compagna, che si chiamava Leonora, mi convinse a celare a Maria il mio turbamento. Finsi abbastanza bene quando venne a portarci la cena, manon potei fare a meno di notare, fra me e me, quanto fosse diverso questo pasto da quelli a cuiavevo partecipato fino ad allora. Questo consisteva esclusivamente in un piatto, un coltello e unaforchetta per entrambe, che ella portò via non appena si fu cenato. Quando fummo a letto, dopo avermi fatto fare un solenne giuramento di segretezza, Leonora iniziò a svelarmi i suoi pensieri. «Mia cara sorella» disse «pensi che la tua sorte sia molto dura; ma ti assicuro che tutte le donne di questa casa hanno avuto lo stesso destino. Col tempo conoscerai tutte le loro storie, così come esse sperano di conoscere la tua. Suppongo che Maria siastata lo strumento principale della tua paura, così come lo è stato per noi; e scommetto che ti ha mostrato dei posti orribili, anche se non tutti; e che, solo a pensarcisei talmente terrorizzata che hai scelto la nostra stessa via per liberarti dalla morte. Sulla base di ciò che è successo a noi, sappiamo che don Francisco è stato il tuo Nerone, il tuo tiranno; perché i tre colori degli abiti sono i tre elementi distintivi dei trer santi padri. La seta rossa è quella di don Francisco, quella blu di don Guerrero equella verde di don Aliaga; assegnano sempre quei colori (una volta conclusasi la farsa del cambio degli abiti e i brevi svaghi) alle donne che hanno qui portato peri loro usi. Ci viene severamente imposto di mostrare gioia e molta allegria peri primi tre giorni dall'arrivo di una nuova giovane, come abbiamo fatto noi con te e come ora dovrai fare tu con le altre; ma dopo viviamo come le più disgraziate prigioniere, vediamo solo Maria e le altre cameriere, rispetto alle quali Maria è in qualche modo superiore, essendo la governante. Tutte noi desiniamo nella sala grande tre volte alla settiamana; e quando un'inquisitore desidera una delle sue schiave, viene Maria verso le nove e la conduce nel suo appartamento. Qualche sera Maria lascia la porta delle nostre camere aperta, e questo significa che quella notte verrà uno degli Inquisitori; ma quando arriva è così silenzioso che noi non sappiamo se si tratta del nostro padrone o meno. Se a una di noi capita di restare incinta, viene portata in una stanza migliore dove resta finoa chenon ha partorito; ma durante tutto il periodo della gravidanza non vede altri che la persona addetta ad accudirla. Appena nato, il bambino le viene portato via, non sappiamo dove; perchè poi non viene più fatta parola in merito. Sono in questa casa da sei anni, non avevo ancora quattordici anni quando gli ufficiali mi portarono via dalla casa di mio padre, e ho avuto un bambino. In questo momento ci sono cinquantadue giovani in questa casa; ma ogni anno ne perdiamo da sei a otto, anche se non sappiamo che cosa ne sia di loro, o dove vengano mandate. Ma il numero non diminuisce, perché ne vengono sempre portate di nuove al posto di quelle che vengono mandate via; e mi ricordo una volta di averne viste settantatre. La nostra continua tortura è il pensiero che quando si stancano di una donna fingono di mandarla via, ma di certo la mettono a morte; perché naturalmente sono troppo astuti per sopportare che, quella donna, una volta liberata, riveli le loro atroci e infernali villanie. Pertanto la nostra situazione è davvero disgraziata e non ci resta che pregare il Signore che ci perdoni i crimini che siamo costrette a commettere.


Continua la narratrice:


Questa descrizione si dimostrò veritiera. Dovettero trascorrere diciotto mesi prima che gli ufficiali francesi aprissero le porte dell'Inquisizione e durante questo periodo, mentre undici recluse sparirono nel modo misterioso in cui parla Leonora, arrivarono diciannove ragazze, cosicché al momento della liberazione le donne erano più di sessanta.