sabato 24 dicembre 2011

Gli auguri di Natale di Publio Plinio


Lettera di Publio Plinio a Domizio Rufo (280 dc)

“Carissimo, ti auguro con questa epistola di trascorrere un buon Natale del Sole. Non so da voi, ma qui a Mediolanum ormai lo festeggiano tutti: persino i cristiani! Sì, anche quella setta di santoni pseudoebrei, gli adoratori dei crocefissi, dopo qualche resistenza ormai si sono decisi a festeggiare come tutti gli altri.

Non c’è che da apprezzare la saggezza del nostro grande imperatore Aureliano, che volle rendere ufficiale la festa, l’ottavo giorno prima delle Calende di Gennaio. Noi cittadini dell’impero siamo diversi per lingua, razza e religione, ma tutti siamo scaldati dallo stesso Sole, che dopo il freddissimo Solstizio d’Inverno ora ricomincia timidamente a riallungare le giornate. Né Aureliano volle inventarsi una Festa di sana pianta, ma lungamente studiò il problema coi suoi collaboratori, scoprendo che la festa della Rinascita del Sole è la più universale; anche se alcuni lo chiamano Mitra, altri Elagabal, altri Helios: in fin dei conti è sempre lo stesso per tutti, e tutti ugualmente ci riscalda.

Solo i cristiani, nella loro superstizione, sono convinti di non adorarlo. Ho appreso da un mio servo, che partecipa alle loro riunioni, che pure loro mangiano gli stessi dolci impastati con frutta candita e miele: ma non per festeggiare il Sole a cui devono la frutta e i fiori, bensì la nascita del loro Dio, o profeta (essi non hanno chiara la distinzione tra i termini), Gesù Cristo.

Confesso di essere affascinato dall’ignoranza che nutrono per la loro stessa religione. Avendo dato un’occhiata, per curiosità, ai loro libri sacri, so bene che in nessun giorno del calendario è fissata la data di nascita del loro eroe. Stavo quasi per dirlo al mio servo, ma a che pro? Non sa leggere. Ma lasciamolo pure mangiare il suo pane dolce e i suoi canditi, anche se ignora l’autentico significato di ciò che fa”.

venerdì 2 dicembre 2011

Il sadismo dell'Inquisizione



(Cap. 10, "La santa Inquisizione", L'influenza dell'Inquisizione, pagg 97-102)

Molti inquisitori erano dei sacidi, molti dei mostri libidinosi. Prendevano le donne che desideravano inventando accuse di eresia e tenendole come amanti per il resto dei loro giorni. Quando le truppe francesi preseo la città di Aragona, il tenente generale M. de Legal
ordinò che si aprissero le porte dell'Inquisizione e si liberassero i prigionieri, che erano circa quattrocento. «Tra questi vi erano sessanta bellissime giovani, che costituivano l'harem dei tre massimi Inquisitori.» Una di esse aveva una storia fuori dal comune da raccontare. La narrò all'ufficiale francese chein seguito divenne suo marito e a M. Gavin, autore di A Master Key to Popery. Riporto qui il racconto nelle parole della donna.

Un giorno andai con mia madre a trovare la contessa Attaras, e lì incontrai don Francisco Tirregon, suo confessore e secondo Inquisitore del Santo Uffizio. Dopo aver bevuto della cioccolata, mi chiese l'età, il nome del mio confessore e mi fede molte domande complicate sulla religione. La rigidità del suo contegno mi spanventò ed egli lo percepì; così disse alla contessa di informarmi che non era così austero come sembrava. Poi mi accarezzò in modo estremamente gentile, allungò la mano, che io baciai con grande revedenza e modestia; e nell'andarsene adoperò questa insolita espressione «Mia cara, mi ricorderò di te finoalla prossima volta.» In quel momento non feci caso al senso delle parole; perché non avevo esperienza in matiera di galanteria, avendo, all'epoca, solo quindidi anni. Sfortunatamente egli si ricordò davvero di me; e quella stessa notte, mentre la famiglia era a letto, si udì un gran bussare alla porta. La cameriera, che dormiva in camera con me, andò alla finestra e chiese chi fosse. La risposta fu, la Santa Inquisizione. Udito ciò, gridai: «Padre! Padre! Padre caro, sono rovinata per sempre!» Mio padre si alzò e venne da me per sapere il motivo delle mie grida; gli dissi che l'Inquisizione era alla porta. Udito ciò, invece di proteggermi, mi portò di corsa di sotto e, per paura che la cameriera fosse troppo lenta, aprì lui la porta d'ingresso. In che stato di abietta e servile paura sono gettate le menti! Non appena seppe che erano venuti per me, mi portò con grande solennità e mi consegnò agli ufficiali con molta sottomissione.
 
Fui spinta frettolosamente in una carrozza, con niente altro indosso che una sottoveste e un mantello; perché non mi lascariono prendere altro. Ero così terrorizzata che pensai che sarei morta quella notte stessa; Ma immaginate la mia sorpresa quando mi fecero entrare in un appartamento decorato con tutta l'eleganza consentita dal gusto e dall'opulenza. Subito dopo chegli ufficiali se ne furono andati, apparve una cameriera con un vassoio d'argento su cui c'erano dolci e acqua alla cannella. Voleva che mi ristorassi un po' prima di andare a letto; le dissi chenon potevo, ma che le sarei stata grata se mi avesse potuto dire se sarei stata messa a morte quella notte oppure no. «Essere messa a morte!»  esclamò ella «non è venuta qui per essere messa a morte, ma per vivere come una principessa e non le mancherà niente al mondo, se non la libertà di uscire; quindi la prego, non abbia paura, ma vada a letto e dorma bene; perché domani vedrà le meraviglie di questa casa; e poiché io sono stata scelta come sua cameriera, spero vorrà essere gentile con me.»


Segue una lunga descrizione della maniera in cui, per mezzo della serva Maria, don Francisco inviò alla sua ultima vittima abiti eleganti, regali di valore e messaggi personali, gentili e affettuosi, e un invito a cenare con lui che su consiglio della cameriera la giovane accettò. Don Francisco aveva raccontato a Maria che, in seguito ad alcune accuse avanzate contro la ragazza per motivi religiosi, l'Inquisizione aveva pronunciato la sentenza di bruciarla viva «in unapentla vuota, a fuoco lento», ma che lui, per il rispetto che nutriva per lei, era riuscito ad arrestare l'esecuzione della terribile sentenza, almeno per il momento. L'uomo aveva tuttavia detto chiaramente, e Maria fu ancora più esplicita, che c'era un unico modo per sfuggire alla morte e che solo un vero sciocco non ne avrebbe approfittato. Forse su istruzione di don Francisco, Maria si spinse oltre e, dopo essersi assicurata dell'assoluta riservatezza della giovane già terrorizzata, si offrì di mostrale gli strumenti di tortura. E così, la mattina seguente, quando ancora tutti dormivano,

mi portò di sotto, in una grande stanza chiusa da una pesante porta di ferro, che ella aprì. Dentro c'era un forno che, in quel momento, aveva il fuoco acceso, e sopra una grande padella di ottone con un coperchio dello stesso materiale e con un lucchetto. Nella stanza accanto c'era una grande ruota, coperta su entrambi i lati da spesse tavole; aveva una finestrina al centro e Maria mi disse di guardarci dentro conuna candela; e lì vidi che su tutta la circonferenza della ruota erano fissati dei rasoi affilati, he fecero rabbrividire. Poi Maria mi condusse a vedere una fossa piena di serpenti velenosi. A quella vista espressi un grande orrore ed ella disse «Ebbene, mia buona padrona. Le dirò a cosa servono queste cose. La pentola vuota è per gli eretici e per coloro che si oppongono alla volontà e alla grazia del Santo Padre; vengono messi vivi nella pentola, dopo essere stai denudati; e, chiuso il lucchetti del coperchio, il carnefice comincia ad accendere nel forno un fuoco basso, che poi aumenta per gradi, fino a cheil corpo della vittima viene ridotto in cenere. La ruota è destinata a coloro che parlano contro il Papa o contro i santi padri dell'Inquisizione; vengono fatti entrare nella macchina per mezzo di una porticina che poi viene chiusa a chiave alle loro spalle e poi la ruota vien fatta girare velocemente in modo da tagliarli tutti a pezzi. La fossa è per chi disprezza le immagini e rifiuta di portare il rispetto dovuto agli ecclesiastici; vengono gettati dentro la fossa e divorati dai serpenti velenosi.»
Ritornammo in camera mia e Maria mi disse che la volta successiva mi avrebbe mostrato le torture destinate ad altri trasgressori; ma ciò che avevo visto mi aveva provocato una tale angoscia che la pregai di non terrorizzarmi ulteriormente con simili visioni. Subito dopo mi lasciò, inguingendomi un'assoluta obbedienza a don Francisco; «perché se non si adegua alla sua volontà» mi disse «le toccheranno la padella e il fuoco lento.» L'orrore provocatomi nella mente dalla vista di queste cose e dalle parole di Maria mi privarono quasi dei sensi e mi lasciaronoin tale stato di stordimento che mi sembrava di esser stata defraudata della mia volontà.
La mattina seguente Maria mi disse: «Ora lasci che la vesta con l'abito più bello perché deve andare ad augurare il buongiorno a don Francisco e deve fare colazione con lui». Quando fui vestita, mi condusse attraverso una falleria al suo appartamento, dove lo trovai a letto. Don Francisco ordinò a Maria di ritirarsi e di servirci la colazione dopo circa dueore. Quando Maria se ne fu andata, mi ordinò di spogliarmie di entrare nel suo letto. Fui così spaventata dal modo in cui mi parlò e dalle terribili idee chesi affollarono nella mia mente, che mi tolsi gil abiti senza sapere quello che facevo e entrai nel suo letto, insensibile al fatto che stavo sbrigando un affare indecente: tutti i miei pensieri erano stati completamente assorbiti dallapreoccupazionedi salvarmi e fino a quel momento la forza delterrore aveva cancellato le idee ispirate dalla prudenza.
Dopo essere stata sedotta, la ragazza fu presentata alla altre giovani donne del serraglio , cinquantadue in tutto, la più vecchia delle quali aveva circa ventiquattro anni. Per tre giorni, vestita in maniera sfarzosa, visse come una regina negli appartamenti più lussuosi, mangiando e bevendo i prodotti più sopraffini della terra. Poi, dopo unaserata di allegria, la ragazza fu condotta inunastanzina simile ad una prigione, dove si trovava un'altra ragazza. Maria, chele fece da guida anche questa volta, le disse «Questa è la sua stanza e questa signorina è la sua compagna» e se ne andò subito. Dopodiché... ma lasciamo che sia la narratrice a riprendere il racconto:

Non so esprimere la mia perplessità e il mio malumore; ma la mia compagna, che si chiamava Leonora, mi convinse a celare a Maria il mio turbamento. Finsi abbastanza bene quando venne a portarci la cena, manon potei fare a meno di notare, fra me e me, quanto fosse diverso questo pasto da quelli a cuiavevo partecipato fino ad allora. Questo consisteva esclusivamente in un piatto, un coltello e unaforchetta per entrambe, che ella portò via non appena si fu cenato. Quando fummo a letto, dopo avermi fatto fare un solenne giuramento di segretezza, Leonora iniziò a svelarmi i suoi pensieri. «Mia cara sorella» disse «pensi che la tua sorte sia molto dura; ma ti assicuro che tutte le donne di questa casa hanno avuto lo stesso destino. Col tempo conoscerai tutte le loro storie, così come esse sperano di conoscere la tua. Suppongo che Maria siastata lo strumento principale della tua paura, così come lo è stato per noi; e scommetto che ti ha mostrato dei posti orribili, anche se non tutti; e che, solo a pensarcisei talmente terrorizzata che hai scelto la nostra stessa via per liberarti dalla morte. Sulla base di ciò che è successo a noi, sappiamo che don Francisco è stato il tuo Nerone, il tuo tiranno; perché i tre colori degli abiti sono i tre elementi distintivi dei trer santi padri. La seta rossa è quella di don Francisco, quella blu di don Guerrero equella verde di don Aliaga; assegnano sempre quei colori (una volta conclusasi la farsa del cambio degli abiti e i brevi svaghi) alle donne che hanno qui portato peri loro usi. Ci viene severamente imposto di mostrare gioia e molta allegria peri primi tre giorni dall'arrivo di una nuova giovane, come abbiamo fatto noi con te e come ora dovrai fare tu con le altre; ma dopo viviamo come le più disgraziate prigioniere, vediamo solo Maria e le altre cameriere, rispetto alle quali Maria è in qualche modo superiore, essendo la governante. Tutte noi desiniamo nella sala grande tre volte alla settiamana; e quando un'inquisitore desidera una delle sue schiave, viene Maria verso le nove e la conduce nel suo appartamento. Qualche sera Maria lascia la porta delle nostre camere aperta, e questo significa che quella notte verrà uno degli Inquisitori; ma quando arriva è così silenzioso che noi non sappiamo se si tratta del nostro padrone o meno. Se a una di noi capita di restare incinta, viene portata in una stanza migliore dove resta finoa chenon ha partorito; ma durante tutto il periodo della gravidanza non vede altri che la persona addetta ad accudirla. Appena nato, il bambino le viene portato via, non sappiamo dove; perchè poi non viene più fatta parola in merito. Sono in questa casa da sei anni, non avevo ancora quattordici anni quando gli ufficiali mi portarono via dalla casa di mio padre, e ho avuto un bambino. In questo momento ci sono cinquantadue giovani in questa casa; ma ogni anno ne perdiamo da sei a otto, anche se non sappiamo che cosa ne sia di loro, o dove vengano mandate. Ma il numero non diminuisce, perché ne vengono sempre portate di nuove al posto di quelle che vengono mandate via; e mi ricordo una volta di averne viste settantatre. La nostra continua tortura è il pensiero che quando si stancano di una donna fingono di mandarla via, ma di certo la mettono a morte; perché naturalmente sono troppo astuti per sopportare che, quella donna, una volta liberata, riveli le loro atroci e infernali villanie. Pertanto la nostra situazione è davvero disgraziata e non ci resta che pregare il Signore che ci perdoni i crimini che siamo costrette a commettere.


Continua la narratrice:


Questa descrizione si dimostrò veritiera. Dovettero trascorrere diciotto mesi prima che gli ufficiali francesi aprissero le porte dell'Inquisizione e durante questo periodo, mentre undici recluse sparirono nel modo misterioso in cui parla Leonora, arrivarono diciannove ragazze, cosicché al momento della liberazione le donne erano più di sessanta.

sabato 5 novembre 2011

Alieni divini o Divinità aliene.

Ha senso dire: "Io credo negli alieni"?

Riflettiamoci un attimo: di quali alieni stiamo parlando? Di batteri o esseri più complessi?
Avete mai fatto caso che un alieno per quanto stranamento possa essere rappresentato, presenta comunque delle caratteristiche umane?
Magari ha 4 occhi, ma possiede un apparato visivo; magari ha una testa enorme, ma quindi diamo per scontato che abbia un cervello; e che dire poi di quelle mostruose bocche con denti aguzzi? ma quindi possiede un apparato digerente. Per non parlare di braccia e gambe, filacciose, verdi, lunghe e prive di muscoli, ma sempre di braccia e gambe si parla.



La seconda riflessione verte sulle prove della loro esistenza. Parlo di prove scientifiche, non di baggianate alla Voyager. Bene, al momento non esistono prove che sul pianeta X vi siano degli alieni. Se ve ne saranno in futuro, credo che nessuno di noi avrà problemi ad accettarne l'esistenza. Ma chi crede, non ha bisogno di prove: crede per credere e parte con una tesi preconfezionata.

Chi dunque afferma "Credo negli alieni" è perché VUOLE credere nell'esistenza degli alieni, ma ciò non toglie che la loro affermazione sia priva di senso. 
L'impostazione mentale è molto simile a quella dei credenti.
Possiamo anzi spingerci a dire che è l'uomo a creare l'alieno a sua immagine e somiglianza, proprio perché non essendoci prove, vengono rappresentati con qualità umane.

Proviamo a trasportare questo ragionamento con Dio. 
Come viene rappresentato il Dio cristiano? Di solito come un padre, avanti negli anni, con una barba bianca per indicare che è saggio e, cosa ancor più emblematica, con una fisionomia del tutto simile a quella umana. In fin dei conti se mettessimo a confronto il Zeus delle statue greche con il Dio dell'iconografia cattolica, non sapremo distinguerli.


Vi sono prove dell'esistenza di Dio? No. Tant'è vero che se ci fossero prove, non servirebbe credere, ma si conoscerebbe. Molti credenti tra l'altro affermano: io credo indipendentemente dalle prove, non mi servono prove, la mia fede in dio non ha bisogno di prove.
Anche qui, chi crede in Dio è perché VUOLE credere in Dio.

Se però il credere negli alieni passa abbastanza inosservato, lo stesso non si può dire del credere in Dio. Eppure si tratta dello stesso ragionamento...

giovedì 13 ottobre 2011

13 Ottobre 1307. La fine dei Templari.




Oggi, 13 Ottobre dell'Anno del Signore 1307, Filippo Il Bello di Francia fece arrestare i Templari presenti del regno di Francia con l'accusa di eresia e con conseguente confisca di tutti i beni in loro possesso.

I templari, venendo a contatto con gli eremiti cristiani presenti in Siria e Arabia, scoprirono la verità storica sul Cristo. Presero quindi a venerare il vero profeta 'cristiano', Giovanni Battista, attraverso la raffigurazione della sua testa decapitata (il Baphomet). 

Nei loro riti eretici era uso sputare sulla croce, quale simbolo della mistificazione perpetrata dai primi padri della chiesa (Agostino, Ambrogio e Girolamo).




I templari erano pericolosi per almeno tre motivi: 

1) essendo a contatto con il mondo arabo erano entrati in possesso di conoscenze "perdute" in occidente; 
2) erano un ordine militare estremamente potente e flessibile tanto da poter rivaleggiare con molti eserciti statali; 
3) erano economicamente floridi e attraverso accordi commerciali detenevano credito verso chiunque. 

Erano, quindi, un pericolo per una realtà economicamente arretrata e fragile come quella medievale che si fondava sulla schiavitù (sia fisica che intellettuale) di un mondo che era (e per certi versi è ancora) legato a dogmi assoluti tesi ad garantire il potere di pochi su tutti, in definitiva tutti ci rendiamo conto che una comunità con background quasi rinascimentale (come quella dei templari) con la sua sola presenza metteva a rischio signorotti e papi che facevano il bello e il brutto tempo nell'europa del '300.

Per chi volesse una più ampia trattazione (oserei dire enorme raccolta documentata) prenda in visione questo magnifico sito, intitolato Dèi Ricchi - Alla scoperta dei signori che si fecero dèi. Pagina Facebook Fan

Ecco un documento sul Baphomet e sul perché i Templari furono accusati di eresia.

sabato 8 ottobre 2011

Morale e Religione: senza Dio si diventa cattivi?



(Tratto da "L'illusione di Dio" di Richard Dawkins)


Origini dell'etica: studio di un caso 

Se, come il desiderio sessuale, il senso morale fosse effettivamente radicato nel lontano passato darwiniano, e fosse quindi nato prima della religione, dovremmo aspettarci che le ricerche sul cervello rivelino universali morali che superano le barriere geografiche, culturali nonché religiose.


In Moral Minds: How Nature Designed a Universal Sense of Right and Wrong, il biologo di Harvard, Marc Hauser. ha descritto una proficua serie di esperimenti proposti in origine da filosofi morali. Un suo studio ci permette anche di vedere in che modo ragionano i filosofi morali. Viene posto un ipotetico dilemma etico e la difficoltà che abbiamo a risolverlo ci dice qualcosa sul nostro senso del bene e del male. Su un punto Hauser si spinge più in là dei filosofi: attraverso questionari distribuiti tramite Internet, conduce indagini statistiche ed esperimenti psicologici sul senso morale di persone in carne e ossa. Dal punto di vista che ci interessa qui, il dato fondamentale è che quasi tutti prendono le stesse decisioni quando sì trovano davanti ai dilemmi, e la convergenza è molto superiore alla capacità di spiegare il motivo delle decisioni. È proprio ciò che sarebbe lecito aspettarsi se il senso morale fosse inscritto nel cervello come la pulsione sessuale, la paura dell'altezza o, come preferisce dire Hauser, la capacità linguistica (i dettagli variano da cultura a cultura, ma la struttura profonda della grammatica è universale).


Come vedremo, il modo in cui la gente risponde ai quesiti morali e l'incapacità di spiegare le ragioni delle scelte sono in larga misura indipendenti dalla presenza o assenza di convinzioni religiose. Per dirla con le sue stesse parole, il messaggio di Hauser è: «Alla base dei nostri giudizi morali c'è una grammatica morale universale, una facoltà della mente che si è evoluta per milioni di anni e ha finito per produrre un insieme di principi utili a elaborare una gamma di possibili sistemi etici.  Come nel caso del linguaggio, i principi alla base della nostra grammatica morale volano sotto il radar della consapevolezza».

I dilemmi morali posti da Hauser sono in genere variazioni sul tema del treno fuori controllo che minaccia di uccidere un certo numero di individui. Nell'esempio più semplice, una persona, Denise, si trova vicino agli scambi e ha quindi la possibilità di dirottare il treno su un binario secondario e salvare così la vita a cinque persone intrappolate sulla linea principale. Purtroppo, però, c'è un uomo sul binario secondario. Siccome lui è uno solo e le persone intrappolate sulla linea principale sono cinque, quasi tutti giudicano moralmente ammissibile, anche se non doveroso, che Denise azioni lo scambio per salvare i cinque e condannare l'uomo solo. Non sappiamo se l'uomo sacrificabile sia per caso Beethoven o un nostro caro amico.

Nelle varianti che vengono via via proposte, i dilemmi morali si fanno sempre più spinosi. E se si fermasse il treno lanciandogli davanti un oggetto pesante da un ponte? Ma sì, senz'altro: gettiamolo. E se l'unico oggetto pesante disponibile fosse un uomo molto grasso che se ne sta lì seduto ad ammirare il tramonto? Quasi tutti convengono che è immorale gettare il grassone giù dal ponte, anche se, tutto sommato, il dilemma parrebbe analogo a quello di Denise, che si trova a dover sacrificare una persona per salvarne cinque. La maggior parte della gente ha la netta sensazione che vi sia una differenza sostanziale tra i due casi, anche se magari non sa spiegare bene il perché.

Quello del grassone ricorda un altro dilemma posto da Hauser. In un ospedale stanno morendo cinque
pazienti per una grave patologia di cinque distinti organi. Ognuno di loro verrebbe salvato se si trovasse un donatore per quell'organo, ma non ci sono donatori di sorta. Il chirurgo si accorge a un certo punto che in sala d'aspetto c'è un uomo sano, con i cinque organi del caso in perfette condizioni e adatti al trapianto. Quasi nessuno risponde che è morale uccidere l'uomo per salvare i cinque.

Come nel caso del grassone sul ponte, la gente intuisce che non si può assaltare un innocuo e ignaro passante e usarlo per il bene degli altri. Com'è noto, fu Immanuel Kant a elaborare l'imperativo categorico secondo il quale un essere razionale non deve mai essere usato come mezzo per raggiungere un fine, nemmeno se il fine fosse di beneficio agli altri. Questa è la differenza fondamentale tra il caso del grassone sul ponte (o dell'uomo nella sala d'aspetto dell'ospedale) e il caso dell'uomo sul binario secondario. Il grassone sul ponte verrebbe chiaramente usato come mezzo per fermare il treno impazzito, e si violerebbe l'imperativo kantiano. L'uomo sul binario secondario non verrebbe usato per salvare le cinque persone sulla linea principale; a essere usato è il binario alternativo e lui ha solo la sfortuna di trovarcisi sopra. Come mai questa distinzione ci soddisfa? Kant lo riteneva un assoluto morale. Per Hauser, è un risultato dell' evoluzione.

Nel corso del libro, le situazioni ipotetiche riguardanti il treno fuori controllo diventano sempre più complicate e i dilemmi morali si fanno via via più tortuosi. Tra gli altri, Hauser propone i casi di Ned e di Oscar. Ned è accanto alle rotaie, mal diversamente da Denise, che poteva dirottare il treno su un binario secondario, può azionare solo uno scambio con cui dirotterebbe il convoglio su un raccordo che si ricongiunge con il binario principale poco prima delle cinque persone: non serve azionare lo scambio, il treno investirebbe comunque le persone. Tuttavia, il caso vuole che sul raccordo ci sia un uomo estremamente grasso, pesante abbastanza per fermare il treno. Ned deve azionare lo scambio oppure no? La maggior parte della gente risponde di no. Ma qual è la differenza tra il dilemma di Ned e quello di Denise? Con tutta probabilità, la gente applica in maniera intuitiva l'imperativo kantiano. Denise impedisce al treno di investire cinque persone e la sfortunata vittima sul binario secondario è un «danno collaterale», per usare una graziosa espressione di Donald Rumsfeld; Denise non usa l'uomo come mezzo per salvare gli altri. Ned invece userebbe il grassone per fermare il treno e la maggior parte della gente (forse senza pensarci), insieme con Kant (che invece ci pensò moltissimo), la considera una differenza sostanziale.

La differenza è riproposta dal dilemma di Oscar. Oscar si trova nella stessa situazione di Ned, solo che sul raccordo c'è un grande oggetto di ferro, talmente pesante che potrebbe fermare il treno. Oscar non dovrebbe quindi avere problemi ad azionare lo scambio e deviare il treno, solo che c'è un uomo che cammina davanti all'oggetto di ferro e quest'uomo, come il grassone di Ned, verrebbe sicuramente ucciso se Oscar azionasse lo scambio. La differenza è che l'uomo sul binario non verrebbe «usato» per fermare il treno: sarebbe, come nel dilemma di Denise, un danno collaterale. Come Hauser e come la maggior parte dei soggetti intervistati, sento che Oscar può azionare lo scambio, ma non Ned. Trovo però molto difficile giustificare la mia intuizione. Hauser dimostra che queste intuizioni morali spesso non passano al vaglio della riflessione, ma sono fortemente sentite a causa del nostro retaggio evolutivo.

Durante un' affascinante incursione nell' antropologia, Hauser e i suoi colleghi hanno adattato gli esperimenti morali agli indios Cuna, una piccola tribù dell'America centrale che non ha una religione formale e non ha quasi nessun contatto con gli occidentali. Hanno sostituito il treno con un equivalente locale – un coccodrillo che si avvicina alle canoe - e proposto gli stessi dilemmi. Con piccole differenze dovute al  contesto diverso, i Cuna hanno espresso gli stessi giudizi morali di noialtri occidentali.

Di particolare interesse per il presente saggio è che Hauser si è anche domandato se i credenti differiscono dagli atei nelle loro intuizioni morali. Se traessimo la morale dalla religione, dovrebbe esserci differenza. Ma a quanto pare non c'è. In un'indagine condotta con il filosofo morale Peter Singer,6 Hauser ha proposto tre ipotetici dilemmi e confrontato i verdetti degli atei con quelli dei credenti. I soggetti dovevano decidere se un'azione ipotetica era moralmente «doverosa», «ammissibile» o «proibita».
   1. Il dilemma di Denise. Il 90% delle persone ha detto che era ammissibile deviare il treno, uccidendo una persona per salvarne cinque.
   2. Un bambino sta annegando in uno stagno e non c'è in vista nessuno che possa salvarlo. Noi possiamo farlo, ma ci rovineremmo i pantaloni. Il 97% ha convenuto che si debba salvare il bambino (strano a dirsi, il 3% preferisce salvare i pantaloni).
   3. Il dilemma degli organi da espiantare. Il 97%, dei soggetti ha convenuto che non si poteva prendere di forza un individuo sano in sala d'aspetto e ucciderlo per prelevargli gli organi e salvare i cinque malati.

Il risultato principale dello studio di Hauser e Singer è che non c'è differenza statisticamente rilevante tra atei e credenti nell' elaborazione dei giudizi. Ed è coerente con l'idea, condivisa da me e da molti altri, che non c'è bisogno di Dio per essere buoni... o cattivi.

Credenze e superstizioni sulla Luna





di Silvano Fuso (CICAP)

   Dopo il Sole, la Luna è il corpo celeste che appare con maggiore evidenza ad una semplice osservazione del cielo. Si comprende pertanto come essa, fin dall’antichità, abbia stimolato l’interesse e la fantasia dell’uomo. Mitologie lunari si ritrovano in tutte le culture: la sua misteriosa luminosità e la mutevolezza periodica del suo aspetto hanno da sempre spinto gli uomini a immaginare una possibile correlazione tra le vicende terrene e il nostro satellite.
   Ancora oggi, a oltre venticinque anni dalla sua conquista da parte dell’uomo, la Luna continua ad alimentare mitologie condivise da molte persone. Anche molti di coloro che manifestano scetticismo nei confronti dell’astrologia in generale, nutrono invece una fiducia profonda nel ruolo che la Luna svolgerebbe nei confronti di molti fatti terreni.
   Quanto segue vuol essere un contributo per capire, alla luce delle attuali conoscenze scientifiche, quali siano i reali influssi che il nostro satellite esercita sulla Terra e quanto sia invece solo il frutto di mitologie sopravissute alla rivoluzione scientifica. Senza nessuna pretesa di completezza, ci proponiamo soltanto di stimolare un dibattito e, quando necessario, ulteriori ricerche per chiarire eventuali dubbi.


Gli influssi accertati
   La Luna dista dalla terra mediamente 384.000 km e possiede una massa di circa 7.36 1022 kg?? (circa 1/77 di quella terrestre). Se si escludono strani "effetti magici" non dimostrati, gli unici mezzi che la Luna ha a disposizione per interagire con la Terra sono: la forza gravitazionale e la luce solare che essa riflette. 
   L’effetto più evidente e maggiormente conosciuto originato dalla forza gravitazionale lunare è costituito dalle maree. Esse sono fenomeni complessi che sono principalmente generati dall’attrazione congiunta della Luna e del Sole sugli oceani. La differente forza gravitazionale agente su punti molto lontani tra loro determina il movimento della massa fluida. 
   Meno conosciuta è l’esistenza di un fenomeno simile che interessa l’atmosfera. Con un meccanismo analogo a quello che fa muovere l’acqua degli oceani, anche le masse gassose dell’atmosfera possono spostarsi determinando le cosiddette maree atmosferiche. Tali maree possono determinare piccole differenze di pressione dell’ordine di qualche millesimo di millimetro di mercurio (la pressione atmosferica è mediamente di 760 mm di mercurio). 
   Oltre alle maree atmosferiche sono state accertate le cosiddette maree terrestri. Il globo terrestre presenta nel suo insieme una certa elasticità (comparabile a quella dell’acciaio). Di conseguenza, sottoposto a tensioni originate dallo stesso meccanismo che origina le maree oceaniche e atmosferiche, può subire piccole deformazioni. 
   La luce riflessa dalla Luna è molto debole rispetto a quella solare. Pur essendo troppo debole per alimentare la fotosintesi clorofilliana, la luce lunare sembra tuttavia in grado di provocare certi movimenti (tropismi) in certe specie vegetali. Inoltre, alcuni organismi marini sembrano avere un comportamento riproduttivo influenzato dalla luce lunare.


Gli influssi presunti
  Se gli influssi della Luna accertati sono piuttosto ridotti, quelli che le vengono attribuiti sono molto più numerosi. Limitandoci ai più comuni, possiamo citare: influssi meteorologici, influssi sismici, influssi sulle pratiche agricole, influssi sulla biologia umana. 

   Influssi meteorologici. In molte culture, soprattutto contadine, si ritiene che esistano profonde corrlazioni tra l’attività lunare e le condizioni meteorologiche. Le variazioni di pressione prodotte dalle maree atmosferiche e la quantità di energia elettromagnetica trasportata dalla radiazione lunare appaiono troppo piccole per generare effetti apprezzabili sulle condizioni atmosferiche. All’origine della credenza relativa ai possibili influssi meteorologici della Luna ci può senz’altro essere l’osservazione di alcuni particolari aspetti del nostro satellite che si manifestano in corrispondenza di fenomeni atmosferici forieri di cambiamenti meteorologici. Ad esempio la maggiore o minore trasparenza dell’aria, dovuta a diverse condizioni di umidità, possono far apparire diversamente la Luna (un esempio tipico è il classico alone). Ovviamente però l’aspetto della Luna non è causa del cambiamento meteorologico in atto, bensì una sua conseguenza.

   Influssi sismici. Studi statistici miranti a trovare una correlazione tra eventi sismici ed attività lunare hanno fornito risultati dubbi. Tuttavia non si può escludere che il fenomeno della meree terrestri possa avere una certa influenza sullo scatenarsi di sismi, conseguenti al liberarsi delle enormi quantità di energia elastica accumulata nel sottosuolo in corrispondenza delle faglie. 

   Influssi sulle pratiche agricole. Questo tipo di influssi è forse quello che gode di maggior credito da parte del mondo contadino e da parte di molti orticoltori dilettanti. Molti manuali di orticoltura "fai da te" e i classici calendari lunari per agricoltori raccomandano un rigoroso rispetto delle fasi lunari per lo svolgimento di quasi tutte le pratiche agricole: semina, trapianti, potature, taglio degli alberi, imbottigliamento del vino, ecc. 
Tutti i consigli forniti possono essere sintetizzati in una regola generale: «Tutto ciò che deve crescere e svilupparsi deve essere fatto in Luna crescente. Tutto ciò che deve arrestarsi e morire deve essere fatto in Luna calante». Già questa generalità e questa analogia tra fenomeni così disparati fa sorgere qualche dubbio e il sospetto che si tratti di un retaggio di antiche concezioni di "magia simpatica". Tuttavia molte di queste credenze sono state sottoposte a verifiche rigorose. In nessun caso sono emerse conferme attendibili. La luce lunare, ad esempio, pur essendo in grado di provocare tropismi, è troppo debole per influenzare in modo apprezzabile la crescita di una pianta. Inoltre, se tale influenza fosse reale, oltre alle fasi lunari, dovrebbero essere altrettanto importanti le condizioni dell’atmosfera. Queste ultime possono infatti determinare un maggiore o minore assorbimento della radiazione lunare. 
Non sembra neppure ragionevole pensare che abbiano un’influenza gli effetti gravitazionali della Luna. Se fosse vero, infatti, si dovrebbero riscontrare differenze di accrescimento anche in orti che si trovano a distanze diverse da colline o caseggiati. Infatti, l’effetto gravitazionale di questi ultimi è senz’altro comparabile con quello lunare. 
  Discorso analogo vale anche per l’imbottigliamento del vino. Sembra estremamente improbabile che la gravità lunare (visto che nelle cantine la luce lunare naturalmente non arriva) possa influenzare le reazioni chimiche che determinano la qualità finale del prodotto. Sicuramente molti altri fattori, che probabilmente non vengono minimamente considerati, hanno un effetto determinante nella riuscita di certe pratiche. Le persone che credono agli influssi lunari sulle pratiche agricole, probabilmente devono le loro convinzioni al fatto che, per tradizione, sono sempre state rispettate e, in genere, i risultati ottenuti sono stati buoni. Si tratta tuttavia di una "prova" tautologica priva di ogni valore. (Tale "prova" fa venire in mente una vecchia barzelletta: un viaggiatore lanciava periodicamente palline di carta dal finestrino del treno. Un passeggero incuriosito gli chiese il perché di quella strana pratica. «Serve a tenere lontani gli elefanti» rispose il viaggiatore. Dopo che il suo compagno di viaggio gli fece notare che in quella zona non esistevano affatto elefanti, il viaggiatore replicò: «Vede che la mia tecnica funziona!»). 
   Un’altra credenza diffusa nel mondo contadino è quella della cosiddetta Luna rossa. Con tale espressione si intende la lunazione che comincia dopo la Pasqua. L’aggettivo rossa attribuito alla luna di questo periodo deriva dal fatto che sono frequenti fenomeni di appassimento dei germogli, che assumono una caratteristica colorazione rossastra. Tuttavia la Luna non c’entra un bel nulla con questi fenomeni. Essi sono infatti dovuti a gelate, piuttosto frequenti nel periodo considerato, che sono più intense quando il cielo è nitido, quando cioè, come conseguenza e non come causa, la Luna appare particolarmente splendente. 

   Influssi sulla biologia umana. Nel passato molte poatologie venivano associate agli influssi lunari. L’esempio più noto è quello dell’epilessia, che veniva chiamata mal della Luna. Retaggi di queste antiche credenze si ritrovano ancora nel linguaggio attuale: un tipo volubile è detto lunatico e il cattivo umore viene indicato come Luna storta. Inutile dire che la medicina moderna ha destituito di ogni fondamento queste antiche credenze. Tuttavia molte convinzioni riguardanti gli influssi lunari su alcuni aspetti della fisiologia umana sono tuttora diffuse. Un esempio è la credenza che la Luna influenzi i cicli riproduttivi. La periodicità del ciclo lunare e del ciclo mestruale femminile ha fatto immaginare una possibile correlazione. da qui a pensare che le fasi lunari possano influenzare anche la frequenza delle nascite il passo è breve. Molti studi statistici (v. ad esempio S&P n.2, anno II e n.3, anno IV) hanno dimostrato che non esiste correlazione alcuna tra la frequenza delle nascite e le fasi lunari. Ciò nonostante molte persone continuano a consultare il calendario lunare per prevedere il momento del parto. Altra convinzione radicata è quella che riguarda la crescita dei capelli e delle unghie. Anche in questo caso, basandosi unicamente sulle antiche regole della magia simpatica, si ritiene che capelli e unghie crescano più rapidamente durante la fase di Luna crescente. Ben difficilmente la luce lunare o i suoi effetti gravitazionali possono influenzare le complesse reazioni biochimiche che determinano la crescita delle nostre strutture cheratiniche.


Conclusioni
   Controlli scientifici rigorosi sembrano ridurre di molto il numero degli influssi che il nostro satellite eserciterebbe sulle vicende terrene e sulla nostra vita. Qualcuno, probabilmente, rimarrà dispiaciuto poiché l’astro d’argento perde, in tal modo, buona parte del suo fascino e del suo mistero. Tuttavia, come al solito, occorre distinguere nettamente i nostri desideri dalla realtà. Il fatto che la tradizione e la cosiddetta "saggezza popolare" continuino a credere ciecamente in certi influssi esercitati dalla Luna dimostra una verità ben nota a chi si occupa di problematiche paranormali e affini: vi è sempre la tendenza a evidenziare i fatti che confermano certe credenze e aspettative e a tralasciare quelli che invece le smentiscono. Inoltre di fronte a fenomeni complessi le cause influenti sono molteplici e soltanto un approccio scientifico e rigoroso consente di valutarne singolarmente gli effetti. Attribuire tutti gli effetti ad un’unica presunta causa, senza isolarla accuratamente da tutte le altre, è troppo semplicistico e porta inevitabilmente a solenni cantonate.

mercoledì 5 ottobre 2011

Bright. Un nuovo termine per dire 'Ateo'


Siamo brillanti o cretini?

di Piergiorgio Odifreddi
Il 21 giugno 2003 il quotidiano inglese The Guardian ha pubblicato un articolo del noto biologo Richard Dawkins, autore di capolavori divulgativi quali Il gene egoista (Mondadori, 1994) e L’orologiaio cieco (Rizzoli, 1993), nel quale veniva portato per la prima volta a conoscenza del grande pubblico un nuovo meme: una parola-concetto, cioè, destinata a riprodursi culturalmente alla stessa maniera in cui i geni si riproducono geneticamente.
Si tratta dell’aggettivo bright, “brillante” o “illuminato”, sostantivizzato a indicare coloro che possiedono una visione naturalistica del mondo. La parola richiama direttamente la luce della ragione accesa dall’Illuminismo, e si contrappone a “oscuro”, che caratterizza invece gli oscurantisti che guardano al mondo in maniera soprannaturale e mistica. Ovvero, i credenti d’ogni religione: in particolare, quella dalla quale deriva la parola “cretino”, introdotta nel Settecento per indicare i cristiani delle regioni alpine della Savoia, nelle quali era diffusa la disfunzione tiroidea che oggi si chiama appunto cretinismo.
Benché la creduloneria sia un’analoga disfunzione mentale, l’atteggiamento religioso è considerato normale in molti Paesi e culture, compresi quelli tecnologici occidentali. E anormale viene invece considerata la condizione naturale dell’uomo, indicata appunto mediante termini negativi (non credente, agnostico, ateo, senza Dio) volti a rafforzare la posizione opposta del credente e del teista. È per cambiare questo stato di cose che, nel marzo del 2003, Paul Geisert e Mynga Futrell hanno introdotto in California il termine bright, che Dawkins ha cominciato a diffondere col suo articolo.
Si tratta, in sostanza, di incominciare a pretendere che i credenti portino, riferendosi agli illuminati che non abboccano alla loro fede, lo stesso rispetto che altri emarginatori e oppressori sono ormai costretti a portare verso molte altre categorie di emarginati e oppressi. Visto che non ci si riferisce (più) alle donne come “non uomini” o “sesso debole”, agli omosessuali come “non eterosessuali” o “finocchi”, agli africani o agli orientali come “non bianchi”, “negri” o “musi gialli”, e ai popoli in via di sviluppo come “non occidentali” o “sottosviluppati”, così è giunta l’ora di smetterla di chiamare “non credenti” o “atei” coloro che, semplicemente, non accettano superstizioni e miti.
Naturalmente qualcuno penserà che parlare di emarginazione e oppressione per gli “illuminati” sia eccessivo, poiché l’Inquisizione ha smesso da tempo di far girare le ruote della tortura. Ma nel suo articolo Dawkins portava due esempi che, nei mesi seguenti sono diventati emblematici in Italia e negli Stati Uniti: l’esposizione dei crocifissi e dei comandamenti nei luoghi pubblici.
Tra parentesi, vale la pena di ricordare che, di fronte a parallele azioni dei tribunali per imporre la rimozione di un crocifisso a L’Aquila, e di un monumento dei comandamenti in Alabama, in ottemperanza alla separazione costituzionale fra Stato e Chiesa, oltre che appunto per rispetto verso gli “illuminati”, le reazioni sono state contrapposte: negli Stati Uniti il monumento è stato rimosso, insieme al ministro della Giustizia che si opponeva alla rimozione; in Italia è stata invece rimossa la sentenza, dopo che contro di essa si erano mossi il ministro degli Interni e il Capo dello Stato, rimasti saldamente inchiodati al loro posto insieme al crocifisso.
Per tornare alle prove di emarginazione e oppressione dei non credenti, Dawkins citava anche un sondaggio Gallup del 1999 negli Stati Uniti, in cui veniva chiesto agli intervistati se avrebbero votato per un candidato con certe caratteristiche. Le risposte positive sono state il 90% per un candidato cattolico, o ebreo, o battista, o mormone, o nero, o donna, il 59% per un candidato omosessuale, e il 49% per un candidato ateo. E questo nonostante gli atei negli Stati Uniti, secondo un’indagine del Forum sulla Religione e la Vita Pubblica, siano circa 30 milioni: dunque, molti di più di ciascuna delle minoranze citate, donne a parte! Se questa non è emarginazione, che cosa lo è?
A proposito di Stati Uniti, a iniziare a diffondervi il meme bright in grande stile è stato il noto filosofo Daniel Dennett, autore di capolavori divulgativi quali Brainstorms (Adelphi, 1991) e La mente e le menti (Rizzoli, 2000). In un articolo del 12 luglio 2003 sul New York Times egli dichiarava che bisogna avere il coraggio di dire a bambini e ragazzi che non c’è niente di male (e molto di bene) a non credere in Dio, e che i non credenti hanno diritto a un rispetto uguale (se non maggiore di) a quello accordato a coloro che credono in fantasmi, spiriti, elfi, babbi natale e dèi.
Sia Dawkins sia Dennett sottolineano che i non credenti sono la maggioranza fra gli scienziati: più precisamente, il 60%, oltre che addirittura il 93% dei membri dell’Accademia delle Scienze statunitense. Il che dimostra, se ce ne fosse bisogno, che identificarli come bright è giusto, perché più si è intelligenti e brillanti, e meno si risulta essere credenti e creduloni (o, se si preferisce, cretini). Non stupisce, dunque, che all’appello dei bright abbiano già risposto anche alcuni Nobel, dal fisico Shelton Glashow al biologo Richard Roberts.
Abbiamo chiesto a quest’ultimo, vincitore del premio Nobel per la Medicina nel 1993 per la scoperta della segmentazione dei geni, perché sia uscito allo scoperto dichiarandosi un bright. Ci ha risposto: «Perché sono ateo, e non ho paura di dirlo». E perché non crede? «Perché non vedo nessuna ragione per credere in qualunque tipo di divinità. E se non ci sono prove dell’esistenza di un Dio, perché mai dovremmo inventarcelo?». La scienza e la religione possono comunque coesistere? «Certamente. Non c’è nessun motivo perché debbano combattersi, visto che non hanno niente in comune: la religione inizia dove la scienza finisce». Ma la scienza può rispondere a domande che sono apparentemente di natura teologica, quali l’origine dell’universo o della vita? «Finora la scienza non ha ancora risolto questi problemi, ma non mi sembra di grande aiuto postulare come spiegazione un’ipotesi indimostrabile, quale appunto Dio. Dire che Dio è la risposta, è solo un altro modo di dire che non sappiamo quale sia la vera risposta». La scienza può dunque sostituire la religione, nel mondo moderno? «Perché mai si dovrebbe sostituire la religione con qualcosa di diverso dall’ateismo? La scienza è solo scienza, mentre la religione è essenzialmente una costruzione sociale che qualcuno, in genere i diseredati, trova utile, e qualcun altro sfrutta politicamente, per il potere che ne deriva».
Sulla scia di Dawkins, Dennett, Glashow e Roberts, molti non credenti sono già usciti allo scoperto dichiarandosi bright. Chiunque sia interessato a seguirli può consultare il sito www.the-brights.net, nel quale sono descritti gli obiettivi del movimento, che si riducono sostanzialmente a promuovere la conoscenza di una visione naturalistica del mondo, a farne riconoscere pubblicamente l’importanza civile, e a educare la società ad accettarla.
Ma, come sottolinea Dennett, i bright non rappresentano che la punta esposta e visibile dell’iceberg dei non credenti, che probabilmente costituiscono una maggioranza silenziosa sommersa dalle urla e dal clamore dei fondamentalisti. Lo conferma il sito www.celebatheists.com, che riporta un elenco di personalità che hanno dichiarato in occasioni svariate, e indipendentemente dai bright, il loro rifiuto della religione. Fra essi si trovano menti straordinarie di ogni genere: scrittori come José Saramago e Salman Rushdie, attori come Dario Fo e Woody Allen, musicisti come Pierre Boulez, informatici come Bill Gates e Marvin Minsky, linguisti come Noam Chomsky, scienziati come Francis Crick e James Watson…
Quest’ultimo, ad esempio, premio Nobel per la Medicina nel 1962 per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, e uno degli scienziati più famosi del Novecento, ci ha detto: «Mi considero molto fortunato a essere senza Dio. L’unico problema che ha chi non è religioso, è decidere se vuole o no migliorare la qualità della vita, senza far del male a chi gli sta intorno». È sempre stato ateo? «Dalla prima adolescenza. Mio padre non era credente, e mia madre era una cattolica irlandese. Io ho fatto la comunione e la cresima, ma subito dopo me ne sono andato. Non mi è mai piaciuta l’alleanza della Chiesa cattolica col fascismo. E nemmeno il Papa». Neppure quello attuale, che qualche apertura alla scienza l’ha pur fatta? «A me sembra che abbiano tutti la stessa gran confusione in testa».
Affermazioni simili ci ha fatto Harold Kroto, premio Nobel per la Chimica nel 1996 per la scoperta del fullerene, la molecola di carbonio a forma di pallone da calcio: «Poiché sono ateo, per me l’etica si riduce al fare il minor male possibile al prossimo». Una volta ha detto di essere addirittura un ateo devoto. «Una volta, appunto. Oggi sono un ateo militante. E se le cose peggiorano, diventerò un ateo fondamentalista». Perché? «Perché credo che ci siano due tipi di persone al mondo: quelle che hanno credenze mistiche, e quelle che non ce l’hanno. Questi ultimi credono che la vita sia tutto ciò che abbiamo, e che dobbiamo godercela e aiutare gli altri a godersela. Gli altri pensano che la vita futura sia più importante di quella presente, e temo che faranno saltare in aria il mondo».
Il maggior pericolo per l’umanità non è forse, oggi, il fondamentalismo religioso? «No, peggio. È che l’1% dell’umanità ha seri problemi mentali, e una buona parte di questi matti trova giustificazioni religiose per la propria pazzia». Ma non si può essere religiosi in un senso più alto, vedendo Dio nelle leggi della natura? «Credere, come Einstein, nel Dio di Spinoza, che si rivela nell’armonia del creato, ma non si interessa delle fedi e delle azioni dell’uomo, è la stessa cosa che essere atei. Il vero problema è che la maggioranza della gente vive una vita miserabile, e ha un bisogno disperato di aggrapparsi a qualcosa. Solo una minoranza riesce a uscirne e accettare che questa vita è tutto ciò che c’è, e che quando è finita, è finita».
Naturalmente, sarebbe inutile continuare a domandare a oltranza opinioni sulla religione a scienziati famosi: a parte i rari poveri di spirito alla Zichichi, che confermano la regola, le loro risposte ricalcherebbero quelle che abbiamo sentito. Accettiamo, allora, la realtà: che chi pensa non crede, e chi crede non pensa. Voi che pensate e non credete, dunque, non abbiate paura: unitevi ai bright di tutto il mondo, perché vostro è il Regno della Terra.

martedì 4 ottobre 2011

La violenza biblica (e non) sulle donne.

Vi suggerisco alcuni siti che trattano l'argomento della condizione femminile nei testi sacri, soprattutto Bibbia e Corano. 
Credo emerga sufficientemente bene quando questi testi siano misogeni e ricalchino una mentalità arcaica, sebbene ispirati o scritti da dio. 
Eppure ancora oggi molti devoti sostengono che tali testi esprimano i più alti valori da perseguire in una società moderna. 
Provate a dare un'occhiata sotto.


Aforismi contro le donne

Utopia / Donna: spregio e sottomissione

Alexamenos / Sante, Madri e Meretrici

Wikipedia / Storia della donna nel Cristianesimo


Suggerisco anche questo articolo, in cui ben si descrive la situazione italiana e la reticenza anche delle stesse donne a denunciare la mentalità religiosa cattolica, così retrograda.

giovedì 29 settembre 2011

La morale sessuale cattolica.

Perché una ragazza innamorata di un ragazzo non riesce a vivere in modo sereno e pieno la propria relazione? La risposta è "il cristianesimo". 
Ecco come la religione entra nel subconscio delle persone, creando dubbi, paranoie, ostacoli astrattamente insormontabili nella mente di una povera ragazza credente, fino a condurla verso un aut-aut a dir poco sconfortante. 

E se si lasciasse andare? E se godere appieno delle emozioni, anche fisiche, non fosse peccato? Siamo spiacenti ma la religione è imprenscindibile. Sta al buon senso dei credenti, professarsi tali e poi fare ti testa loro, abbandonando stupidi dettami religiosi e quel senso di colpa che pervade ogni cosa. La scelta di avere o meno rapporti sessuali dovrebbe essere assolutamente personale e in nessun modo influenzata da fattori esterni, in primis la religione, ma...

Vi lascio con la lettera della ragazza e la risposta (vaga e confusa) del prete che dovrebbe aiutarla a risolvere i suoi dubbi e confortarla nelle sue insicurezze.




Colloqui col padre – La lettera della settimana
(Famiglia Cristiana n°6, 6 Febbraio 2011)


Ho diciott’anni, educata ai valori cristiani dai miei genitori. Ciò nonostante, ho una gran confusione su un tema, ancora oggi, considerato tabù: il sesso. Sebbene tutti lo neghino. I comandamenti ci dicono di non commettere “atti impuri”. La Chiesa ci ammonisce di non avere rapporti prematrimoniali. Ma se il mio ragazzo, più grande di me e credente pure lui, mi chiede di “coccolarlo”, perché così si sente amato, che devo fare? Per  “coccole” non intende solo bacetti o abbracci. Ma qualcosa di più.
Un dottore molto conosciuto negli Usa, Gary Chapman, parla di cinque linguaggi dell’amore nella coppia per far sentire una persona amata: parole di rassicurazione, momenti speciali, doni, gesti di servizio, contatto fisico. A quanto dice questo dottore, se il linguaggio principale del mio ragazzo è il contatto fisico e noi non facciamo l’amore, lui non si sentirà amato. Ci sarebbe una soluzione: sposarlo a diciott’anni. Ma io non sono affatto pronta a questo importante passo.
Non mi fraintenda. Non sto chiedendo una legittimazione ai rapporti prematrimoniali. Credo nella verginità fino al matrimonio, ma mi trovo in difficoltà. La mia educazione cristiana stride con la realtà che mi trovo di fronte. E sta rovinando il mio rapporto di coppia. I preti ai quali mi sono rivolta non hanno saputo aiutarmi. Per me è una questione complessa. Detta senza peli sulla lingua: secondo i comandamenti non dovrei “sollecitare” il mio moroso e non commette “atti impuri”. Perché sarebbe solo auto soddisfacimento e non amore.
Secondo la Chiesa, i rapporti dovrebbero esserci dopo il matrimonio. Solo allora è un donarsi, che ha significato. Per rendere felice l’altro, dovrei andare contro i miei valori? Ne ho parlato con il mio ragazzo più volte, ma non capisce. Per lui non è, poi, così grave volere le coccole e fare l’amore con me.
Dopo l’ultima volta che ne abbiamo parlato, ha cominciato a evitarmi. Mi ha detto che non riusciva più a starmi vicino. La mia coscienza e il mio cuore mi dicono che l’amore è qualcosa di più alto. Ma non vorrei cadere nell’errore di credere a un amore ideale e non reale. Quello che io sento è che lui ama il piacere, non me. Qual è la cosa giusta?
Una diciottenne


L’amore di coppia è una realtà che ha più dimensioni. Non è riducibile a una sola di esse. È eros, cioè istinto, sentimento, passione. È amicizia, cioè benevolenza. Ma è anche carità (in greco agape), cioè amore ablativo. Non sono tre amori, ma tre dimensioni distinte e unite. Quando si separano l’una dall’altra, si ha una caricatura. In ogni caso, una forma riduttiva dell’amore. Così insegna Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est. La stessa visione espressa anche da Paolo VI, quando ricordava che l’amore coniugale è sensibile e spirituale insieme. Non c’è l’uno senza l’altro.
In questa visione multidimensionale, è interessante anche il pensiero di Gary Chapman, da te citato. Lo scrittore e saggista australiano, conosciuto in Italia per le sue pubblicazioni, scrive che l’amore di coppia ha cinque linguaggi. Di conseguenza, se il linguaggio principale è solo il “contatto fisico”, si ha una caricatura dell’amore. Il problema non è come rispondere a un linguaggio del genere, ma di farlo evolvere. Così che recuperi le altre quattro forme d’espressione. Il solo “contatto fisico” non crea alcuna relazione interpersonale.
Ma questo, purtroppo, è quanto si verifica nella società occidentali. Dove non soltanto si pratica,ma si teorizza la separazione tra eros e amore. Tra il linguaggio fisico e gli altri quattro linguaggi, per dirla con Gary Chapman. Da qui lo slogan “sesso libero”. E, in presenza dell’Aids, “sesso sicuro”. La sessualità è ridotta a merce, con la stessa logica dell’”usa e getta”. È da questa mentalità e prassi che deriva quel diffuso disorientamento che coinvolge soprattutto le giovani generazioni.
È necessario che i giovani si rendano conto dei forti condizionamenti dei mass media e della cultura dominante. Col rischio di non agire più con la propria testa. Non solo non si comportano secondo quanto è insegnato dalla famiglia, dalla parrocchia, ma nemmeno secondo quanto vorrebbero decidere loro stessi. In base alla loro coscienza. Così, facilmente la contraddicono. Si adattano. Seguono la logica del gruppo o del più forte, accumulando disagio e insoddisfazione.
Per non essere condizionati e contrastare i modelli negativi, è necessario maturare forti convinzioni personali. E acquisire un sufficiente senso critico, per poter discernere ciò che è bene e ciò che è male. Quello che aiuta a crescere e maturare e ciò che impedisce il vero amore.
Il riferimento alla comunità cristiana è importante per formare la coscienza. È necessario, però, conoscere il pensiero ufficiale della Chiesa. E non affidarsi a dichiarazioni improvvisate e superficiali. Non mancano testi autorevoli, come il Catechismo dei giovani curato dalla Cei. Testi che non si limitano a riportare le norme morali contro l’autoerotismo o i rapporti prematrimoniali, ma ne indicano il senso ola finalità. Il fine della moralità consiste nel segnalare i comportamenti che favoriscono o, al contrario impediscono la crescita della persona e delle relazioni interpersonali.
Il traguardo della formazione umana, che non è mai compiuta, consiste nel passare dall’amore egoista, che considera tutto in funzione di sé stessi, all’amore oblativo che sa offrirsi all’altro. Che va considerato sempre come un fine. mai come uno strumento di cui servirsi per il proprio interesse. O piacere.                                                                




Don Antonio Sciortino